Baby Gang e bullismo: due fenomeni, lo stesso disagio. Riflessioni di una psicologa.

Baby Gang e bullismo: due fenomeni, lo stesso disagio. Riflessioni di una psicologa.

Baby Gang e bullismo: due fenomeni, lo stesso disagio. Riflessioni di una psicologa.

Sentiamo parlare con sempre maggiore frequenza di ragazzini che mettono in atto condotte aggressive, violente e devianti ai danni di cose e/o persone. Adolescenti che perseguitano i coetanei e persino i professori nelle scuole, arrivando a minacciarli e a picchiarli.

Leggiamo e ascoltiamo notizie che parlano di pugni, calci, insulti ma anche rapine e ricatti. Una piaga che colpisce tutte le zone d’Italia, senza differenze rispetto al contesto sociale di appartenenza dei ragazzi.

Ma chi sono questi ragazzi che si muovono tra aggressioni e rapine? Si tratta di bulli o di baby gang?
I due termini vengono spesso usati in modo intercambiabile anche se si tratta di due fenomeni differenti, con caratteristiche specifiche su cui vale la pena fare un pò di chiarezza.

Che cos’è il bullismo?

Il bullismo nasce nel contesto scolastico e coinvolge le scuole di ogni ordine e grado a partire dalla primaria. Può essere definito come un insieme di atti di prepotenza che un gruppo di bambini/ragazzi, mette in atto nei confronti di uno o più soggetti che vengono ritenuti vulnerabili perché “diversi”.

La diversità può riguardare l’aspetto fisico, l’identità sessuale, l’etnia, l’appartenenza socioculturale o la condizione psicofisica. Il gruppo di bulli in genere prevede la presenza di un leader, dei sostenitori/gregari e degli spettatori che non prendono posizione, deresponsabilizzandosi di fronte ad atti di violenza compiuti di fronte ai loro occhi.

Che cos’è una baby gang?

Il fenomeno delle baby gang presuppone che ci sia un gruppo con struttura verticale, anche in questo caso guidato da un leader, con regole di inserimento, che possono prevedere riti di iniziazione e prove di coraggio e che sono caratterizzate da ruoli maggiormente strutturati.

Si tratta di un gruppo che cerca di controllare il territorio tramite la messa in atto di condotte violente con reati verso il patrimonio e verso la persona. Si parte dal furto di smartphone e oggetti firmati, per arrivare alle rapine, alle aggressioni, agli atti vandalici e allo spaccio.

Ma in quali contesti nascono questi fenomeni?

Viene naturale pensare che questo tipo di microcriminalità trovi un terreno più fertile nei contesti degradati, caratterizzati da condizioni critiche a livello economico, sociale e familiare.

In realtà, come già accennato sopra, si tratta di fenomeni sociali molto diffusi nei contesti ad estrazione sociale medio alta. È piuttosto frequente che si tratti di adolescenti incensurati che provengono da famiglie benestanti, ragazzi “annoiati” che utilizzano modalità devianti come distrazione e per innalzare il proprio status all’interno del gruppo.

Il fenomeno del bullismo si sviluppa spesso nelle scuole, visto che è l’ambiente in cui si sperimentano le prime relazioni con i coetanei e in cui avvengono le prime esperienze di inserimento nei gruppi. In qualche modo, le baby gang sembrerebbero essere una sorta di “evoluzione” del bullismo.

Cosa hanno in comune questi “cattivi ragazzi”?

Sia i bulli che gli appartenenti alle baby gang hanno difficoltà ad assumersi la responsabilità degli atti compiuti, tendono a minimizzare la gravità delle azioni commesse e a nascondersi dietro il fenomeno della diffusione della responsabilità. Come se compiere un’azione deviante in gruppo fosse meno grave che compierla singolarmente.

Ci troviamo di fronte a ragazzi che hanno perso il contatto con le loro emozioni e con l’empatia e che non hanno capacità di regolazione emotiva, arrivando a violare le più fondamentali regole sociali, in preda ad un acting out, ovvero un agire guidato dagli impulsi che non trova spazio per la razionalità, il dialogo, l’ascolto e la comprensione della sofferenza altrui.

Sia che si ratti di ragazzi che arrivano da contesti sociali degradati o che si tratti dei cosiddetti figli di buone famiglie abbiamo a che fare con la manifestazione di un malessere profondo che è sintomatico dell’assenza di un sistema di contenimento affettivo.

Mancano le figure adulte di riferimento, figure autorevoli e contenitive dal punto di vista emotivo, affettivo e relazionale che accompagnino i bambini e i ragazzi nel percorso di crescita e di assunzione del processo di responsabilizzazione e nello sviluppo di una competenza sociale e relazionale che parta dall’empatia e conduca al comprendere gli stati emotivi degli altri.

Si tratta di ragazzi che non hanno imparato a considerare l’incontro con l’altro, il diverso da sé, come un’occasione di confronto e la possibilità di un arricchimento ma come qualcuno che può mettere in discussione la loro fragile identità, che trova quindi facilmente ancoraggio in altre identità altrettanto ferite e poco empatiche.

Cosa si può fare allora per aiutare questi ragazzi?

La strategia migliore è quella di supportare i genitori nell’educazione dei figli. I ragazzi hanno bisogno di un’educazione socio affettiva che li aiuti a sviluppare empatia nei confronti degli altri in modo che possano imparare che ci si può relazionare ai pari e agli adulti con sensibilità, senza “perdere di valore”, ma anzi guadagnando la possibilità di arricchirsi grazie al confronto con persone ritenute diverse da sé.

I genitori in questo devono avere un ruolo fondamentale e andare oltre a ciò che avviene in alcune situazioni, fin troppo frequenti, in cui è lo stesso adulto a minimizzare l’atto violento, in un automatico processo di legittimazione dello stesso.

Anche la scuola può fare molto in questo processo di familiarizzazione col diverso, può creare occasioni di incontro, dialogo e confronto, facendo sentire la presenza reale del corpo insegnante in modo che nessun ragazzo si senta solo.

Sono molto utili allo scopo i progetti di peer education, educazione tra pari, in cui l’obiettivo è la responsabilizzazione dei ragazzi, attraverso la possibilità di imparare a mettersi nei panni degli altri, di sviluppare la propria capacità autoriflessiva e di regolazione delle emozioni e quindi del comportamento.

La sinergia maggiore può ottenersi con l’alleanza tra le due agenzie educative più importanti nella vita dei ragazzi: famiglia e scuola devono imparare a sostenersi a vicenda in modo da creare una vera promozione del benessere dei ragazzi che si traduce nella prevenzione di fenomeni di violenza.

Maria Grazia Rubanu
Psicologa Psicoterapeuta

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