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l bambino autistico: cos’è, come si manifesta, come si affronta in famiglia il disturbo dello spettro autistico nell’infanzia.
Si sente spesso parlare di autismo e disturbo dello spettro autistico nei bambini. Qualcuno di noi vive con un bambino autistico, o conosce una famiglia che vive questa situazione. E’ importante per noi di SOSPEDIATRA chiedere un parere esperto e competente per parlare di autismo nei bambini e sensibilizzare sul tema in modo corretto sia per chi lo vive da vicino sia per chi ne sente semplicemente parlare e ricerca informazioni più precise
In questo articolo affrontiamo il delicato tema dell’autismo con la dottoressa Maria Cati Furnari, Psicologa.
Che cos’è l’autismo?
L’autismo è una condizione clinica, in cui sono compromesse, in particolare modo, la capacità comunicativa e relazionale, condizione che varia in relazione alla gravità dei sintomi e per questo viene definita come “Disturbo dello Spettro dell’Autismo”.
A che età si manifesta?
Si manifesta nei primi anni di vita del bambino, in alcuni casi prima dell’anno di età, anche se l’esordio e l’evoluzione variano da caso caso.
Quali sono le aree maggiormente coinvolte?
Le aree di sviluppo maggiormente coinvolte sono due: quella della capacità di comunicazione ed interazione sociale e quella nell’area degli interessi e delle attività.
Come riconoscere se mio figlio ha un disturbo dello spettro autistico?
I bambini che presentano questo disturbo manifestano dei comportamenti “caratteristici” alcuni dei quali individuabili sin dai primi due anni. I primi campanelli di allarme sono :
- difficoltà nella comunicazione ed interazione sociale: modalità di comunicazione gestuale ridotta o assente ( ad es. il bambino non indica) , mancata risposta al nome ( in assenza di problemi di sordità ) , contatto oculare assente o incostante, scarso interesse per gli altri e per le loro attività , ritardo nello sviluppo del linguaggio
- presenza di comportamenti ed interessi ristretti e ripetitivi : attenzione eccessiva per alcune attività o solo per alcuni oggetti e/o parti di essi ( ad es. mettere in fila gli oggetti ) , movimenti ripetitivi delle mani ( sfarfallamento) e/o del corpo ( ad es. dondolamento), anomala reattività sensoriale ( marcato fastidio per i rumori forti, annusamento ), difficoltà ad accettare i cambiamenti ( passare da un gioco all’altro, variare la routine del quotidiano), difficoltà ad utilizzare gli oggetti per la loro funzione.
Naturalmente la diagnosi viene effettuata da un esperto. Si consiglia, in caso di dubbi, di rivolgersi al pediatra che saprà fornire le indicazioni adeguate per la valutazione.

Cosa consigliare concretamente ai genitori con bambini autistici?
Il primo passo da fare è ottenere una Diagnosi da professionisti del settore: su indicazione del pediatra i genitori possono rivolgersi al servizio di Neuropsichiatria infantile del territorio)
Qual è la terapia?
Una volta definita la diagnosi, è necessario progettare un intervento abilitativo/riabilitativo personalizzato che coinvolga la famiglia e che tenga conto non solo dell’età del bambino ma anche delle sue caratteristiche cliniche, data l’eterogeneità dei sintomi nei bambini con disturbo dello spettro autistico.
Perché è importante coinvolgere i familiari ?
Le dinamiche relazionali genitore-figlio con DSA partono già svantaggiate perché comportano livelli di stress molto elevati. Ciò è ancora più vero se pensiamo che il disturbo dello spettro autistico è una disabilità che comporta un investimento terapeutico che dura tutta la vita.
La relazione genitori-figlio con Disturbo dello Spettro Autistico è generalmente forte a livello affettivo anche per il bisogno di accudimento che il bambino richiede; il legame di attaccamento, però, può venire condizionato e minacciato dal comportamento relazionale atipico del loro bambino: “non mi guarda” , “non mi cerca” , “non risponde”, “non lo capisco”……. L’attenzione per i comportamenti problematici rende difficile al genitore intravedere i segnali positivi presenti nella relazione e l’ansia che ne consegue, derivata dai ripetuti tentativi falliti di stabilire un contatto con lui, può interferire sul processo di sviluppo del figlio.

Quale lavoro con i genitori?
I genitori devono essere aiutati ad entrare in contatto con il figlio, fase molto importante perché permetterà di instaurare con lui una relazione in cui sarà possibile condividere emozioni, affetti e comportamenti. Un importante compito del lavoro con la famiglia è, quindi, quello di aiutare i genitori a cogliere i segnali del loro bambino e ricostruire il significato dei suoi comportamenti e della sua emotività, con l’obiettivo di rassicurarli sull’importanza della peculiarità della loro presenza per lo sviluppo del figlio. Lo psicologo, allora, deve aiutare il genitore a riconoscere che il proprio figlio, con un neuro sviluppo diverso, esprime il suo affetto e le sue richieste con modalità peculiari che vanno comprese e accolte. Solo così i genitori potranno, con fiducia, osservare e supportare i progressi del figlio e apprendere un nuovo modo di interagire con lui/lei.
Si tratta di passare dal comportamento parentale istintivo e intuitivo a cui si è geneticamente predisposti, ad un comportamento appreso sulla base della conoscenza dei limiti, delle difficoltà e delle peculiarità del figlio per mantenere il contatto e la vicinanza con lui.
Dott.ssa Maria Cati Furnari, Psicologa e Psicoterapeuta